Vi ricordate il post precedente? Se non ve lo ricordate, è sempre lì. Provate a rileggerlo un attimo: esprimevo un concetto molto semplice. Sulla denuclearizzazione, strada futura dell’Europa dopo Fukushima, l’Italia è in vantaggio. Sarebbe stupido non approfittare di questo vantaggio per investire sulle risorse rinnovabile colmando il ritardo che purtroppo ci separa dalla Germania e dal nord Europa. Bene. Ieri qualcuno ha calcolato e documentato nel merito quanto vale questo vantaggio e convince sempre di più l’idea che non vada sprecato per rincorrere la Francia, l’Inghilterra e la Germania sull’energia nucleare proprio ora che loro cercano di uscirne.

Quello che succede in Germania è solo l’antipasto, con la Rwe, una delle aziende energetiche tedesche, che fa causa alla Merkel per la sua frenata sull’atomo

Rinunciare all’atomo può rivelarsi più costoso del previsto. La tedesca Rwe, quinto gruppo energetico europeo, è ricorsa in tribunale contro la chiusura delle sue centrali. Il ricorso è stato presentato alla corte amministrativa dell’Assia, competente per la centrale di Biblis. Il reattore Biblis A, da 1.164 Megawatt, entrato in esercizio nel 1974, è uno dei sette chiusi per decreto dal cancelliere Angela Merkel a metà marzo in seguito alla crisi nucleare giapponese e alla crescente avversione all’atomo da parte dell’opinione pubblica tedesca, con i verdi in crescita di consensi.

I sette impianti ai quali è stata imposta la moratoria, in esercizio da oltre 30 anni, saranno soggetti a revisioni straordinarie e a fine giugno se ne deciderà la sorte. La centrale di Biblis conta due reattori nella lista, ma uno era già fermo per manutenzione periodica.

“Non hanno agito a termini di legge”, spiega al Fatto Quotidiano un portavoce di Rwe, “le norme sulla sicurezza nucleare prevedono che il governo possa fermare gli impianti solo in una situazione di ‘effettivo pericolo’ e per l’ ‘effettivo pericolo’ ci deve essere un anomalo livello di radiazioni, cosa che non sta succedendo”. Gli azionisti Rwe sono sul piede di guerra, visto che il nucleare conta per il 20 per cento della produzione elettrica di un gruppo che nel 2010 ha portato a casa 7,7 miliardi di risultato operativo. L’altro colosso energetico tedesco E.On, che ha due centrali fermate per decreto, per un totale di circa 2.200 Mw di potenza, spiega invece che non intende seguire la strada di Rwe: “Nonostante i dubbi sulla legalità del decreto, crediamo che in questo periodo di moratoria le dispute legali non debbano avere la precedenza”.

Il quadro che si sta delineando in Europa a seguito dell’incidente di Fukushima è di quelli da far perdere il sonno ai vertici dei gruppi energetici che hanno puntato sul nucleare. Il Consiglio Europeo settimana scorsa ha deciso di sottoporre le centrali astress test, per determinarne il grado di pericolosità e valutare se è il caso di chiuderle (la decisione resterà in capo ai singoli stati). Operazioni che implicano il blocco della produzione e ingenti investimenti.

Le procedure degli stress test non sono state ancora stabilite ed è difficile stimarne il costo. Ma per farsi un’idea si può considerare che Henri Proglio, presidente della francese Edf, primo gruppo nucleare mondiale, nel giugno scorso ha dichiarato che i costi di ammodernamento del parco centrali francese ammonterebbero a 600 milioni a reattore. La Francia, paese più nuclearizzato del Pianeta, conta 58 reattori e con il parametro tedesco (moratoria alle centrali con più di 30 anni di esercizio) i reattori da fermare sarebbero, ad oggi, 15. E gli stress test sono solo una parte del problema.

Che lo impongano i test o il sentimento antinuclearista di un’opinione pubblica sempre più allarmata dalle notizie di Fukushima (a tre settimane dall’incidente la centrale è ancora fuori controllo), il programma di chiusura e totale decommissioning delle vecchie centrali europee sta subendo un’accelerazione. Ma abbandonare il nucleare ha costi che i gruppi energetici, e gli appesantiti bilanci pubblici europei, faticheranno a sopportare.

Una stima delle agenzie nucleari internazionali, datata 2006, indica un costo medio che va dagli 1,5 milioni per Megawatt degli impianti raffreddati ad acqua (Brw, Pwr, i più diffusi) ai 3,9 degli impianti raffreddati a gas, (Gcr, gas cooled reactor, diffusi soprattutto nel Regno Unito) dove oltre al combustibile vi sono grandi quantità di grafite da smaltire.

Significa un costo che va da 1,5 a 3,9 miliardi di euro per un reattore da 1.000 Mw. E si tratta di stime che prevedono lo stoccaggio delle scorie in depositi definitivi, di quelli in grado di non dare problemi per almeno 100mila anni; nel caso di stoccaggio provvisorio le cifre sono superiori. È interessante notare che nessun paese del mondo è riuscito fino ad ora a individuare un sito di questo tipo.

di Marco Maroni 

da Il Fatto Quotidiano del 3 Aprile 2011

Categories: Nucleare

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