Una guerra che dura da sempre, due popoli che non conoscono nella loro cultura la parola “perdono” e che dopo anni di ritorsioni e di vendette non l’hanno ancora imparata. Mera retorica cristiana? Può darsi, ma anche oggi hanno sibilato fitti lanci di razzi palestinesi da Gaza dapprima contro le località israeliane di confine e poi verso Gerusalemme e Tel Aviv incluse. Gli aerei israeliani di tutta risposta hanno sganciato i loro missili intelligentissimi su Gaza producendo decine di vittime tra i civili. E forse si parlerà nei libri di storia anche di spedizioni punitive di terra. C’è qualcosa di nuovo? Parrebbe di no. In realtà il contesto è cambiato eccome. Il Grande Medio Oriente si sta disintegrando e ormai nella zona è difficile trovare un qualche genere di autorità che assomigli a uno Stato con il quale interfacciarsi per la diplomazia internazionale o anche per minacciare ritorsioni. La primavera araba non ha prodotto nulla di concreto: non ha prodotto nuovi equilibri ma instabilità su tutti i fronti. L’Egitto, la Libia disgregata, la Siria in macerie, l’Iraq in preda alle tribù sunnite, ai jihadisti dell’Isis e al califfo Abu Bakr al-Baghdadi. L’Arabia Saudita stenta a riprendere il controllo dei jihadisti e Obama si sta ritirando dal Medio Oriente portando così, se lo farà, la più grossa potenza occidentale fuori dal centro della scacchiera mondiale perdendo quel che resta della credibilità dell’America in quei paesi. Un bel terremoto non c’è che dire. Un terremoto che ha conseguenze strategiche imprevedibili per esempio in Palestina con le leadership storiche in difficoltà palese nell’inventarsi un improbabile governo di unità nazionale. Abu Mazen si era ridotto a fare il poliziotto su commissione di Israele, venendo per ciò remunerato e vezzeggiato da europei e americani. Ma la pace degli ultimi anni è stata minata dal recente assassinio di tre ragazzi israeliani e dalle rappresaglie che ne sono seguite. In questo sgretolamento generale è venuta in piena luce la crisi di Hamas che ha perso il controllo di centinaia di gruppetti jihadisti che ora agiscono in proprio. In questo sgretolamento generale ha davvero senso una rappresaglia contro la Striscia di Gaza? Sono davvero un bersaglio i mille e uno clan di jihadisti? Quando un elefante entra in cristalleria fa un disastro nell’ordine e nella compattezza della situazione precedente. Rimettere le cose a posto dopo il suo ingresso può essere molto difficile se non addirittura impossibile. L’elefante statunitense è entrato nell’area più volte, sempre più pesantemente. Con la teoria del Regime Changing ha spezzato consapevolmente equilibri fragili e ordini costituiti. Adesso a ristabilizzare l’area toccherà probabilmente alle generazioni a venire.
